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mercoledì 29 febbraio 2012

Crisi/ Preatoni ad Affari: la Bce e Monti frenano la ripresa. Si pensa solo a salvare le banche...

Ernesto Preatoni
di Angelo Maria Perrino
"Governi e Bce devono ispirarsi alla MMT (Modern Money Theory): è inutile continuare a fare manovre lacrime e sangue che bloccano la ripresa, bisogna stampare moneta. L'imprenditore Ernesto Preatoni sceglie ancora Affaritaliani.it per ribadire la sua ricetta contro la crisi dell'Eurodebito. E avverte: "Ho una tragica impressione: che si voglia a tutti i costi difendere il sistema bancario e i suoi azionisti..."
L'INTERVISTA
Preatoni, che cosa pensa di questa nuova teoria economica, la "Modern Money Theory" e che cosa dice questa teoria?
"La MMT (Modern Money Theory) sostiene che gli stati che hanno accesso illimitato alla creazione di moneta dovrebbero immetterne in quantità illimitata senza che ciò provochi inflazione".
E lei che posizione ha rispetto a questa teoria?
"La teoria è sicuramente interessante ma come tutte le teorie spinte all'estremo si rivelerebbe fallace. Ciononostante in un momento di questo genere la ritengo estremamente utile. Jamie Galbraight (ritenuto il padre di questa teoria) avrebbe comunque in questo momento assolutamente ragione.
Come io ho avuto modo di farle notare infatti in una precedente intervista la Federal Reserve, la Bank of England, la Banca Nazionale Svizzera e la Banca Centrale Giapponese hanno 'stampato' massicciamente moneta senza che questo abbia provocato inflazione.
Ritengo però che nel lungo periodo inevitabilmente creerebbe inflazione. Ciononostante la direzione che i governi e le banche centrali dovrebbero prendere è senz'altro questa".
Mi sembra però che l'Europa insista in una direzione diametralmente opposta.
"E' stato vero fino al 21 dicembre dello scorso anno, giorno in cui la Banca Centrale Europea ha immesso, seppure in modo discutibile, 489 miliardi di liquidità. Quindi non direi che la BCE abbia una posizione in questo momento diametralmente opposta. Certo la manovra è stata insufficiente e sopratutto tardiva. Comunque lei ha sostanzialmente ragione poichè la tendenza generale in Europa è quella di rimettere a posto i conti imponendo nuove imposte e tagli alle spese. Ormai è chiaro che queste manovre produrranno recessione, minori incassi fiscali e necessità di nuove manovre. Mi lasciano molto perplesso le parole di pochi giorni orsono di Monti quando sostiene che dopo i sacrifici arriverà la ripresa.
In questo senso quindi io ritengo molto utile la modern monetary theory perchè viene a rompere una cultura molto diffusa in Europa e cioè che per rimettere a posto i conti bisogna aumentare le imposte e tagliare i costi.
Questo può essere vero per un'azienda che non ha altri mezzi per far tornare i conti.
Gli stati e le banche centrali hanno invece a disposizione un'arma formidabile: quella di poter stampare moneta e di conseguenza diluire il debito pubblico. Ed è semplicemente ridicolo che si voglia applicare una cultura aziendale agli stati.
Tra le altre cose in questo modo si difende a tutti i costi l'interesse dei creditori dimenticandosi che i creditori, in un mondo capitalista devono assumersi le proprie responsabilità e i propri rischi.
Tanto più che la difesa a tutti i costi degli interessi dei creditori potrebbe provocare tensioni sociali tali da rimettere in discussione la totalità del credito vantato".
Ma lei per quali motivi ritiene che in Europa non sia prevalente la corrente di pensiero keinesiana.
"Io ho una tragica impressione. Si vuole a tutti i costi difendere il sistema bancario e quel che è peggio gli azionisti del sistema bancario. I più grandi detentori di debito pubblico sono infatti le banche e una svalutazione del debito pubblico risulterebbe letale per il sistema bancario, Basti pensare alla manovra del 21 dicembre di immissione dei 489 miliardi da parte della BCE. Anzichè comprare direttamente i titoli di stato come aveva fatto la FED, la BCE ha finanziato le banche all'1% permettendo alle stesse banche di lucrare la differenza tra i rendimenti dei titoli di stato e l'interesse pagato. Ciò costituisce un forte aiuto per salvare un sistema bancario ormai alle corde. In un sistema veramente capitalistico il capitale delle banche avrebbe dovuto essere azzerato e successivamente ricostituito con aumenti di capitale. E se il mercato non avesse sottoscritto gli aumenti di capitale avrebbe dovuto intervenire lo Stato. Questa manovra è stata fatta in Svezia quindici anni fa e lo Stato ci ha pure guadagnato".
Ma allora bisognerebbe accogliere in pieno la teoria di Jamie Galbraight.
"In questo momento certamente; per quanto riguarda l'illimitatamente sarei molto più cauto".




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martedì 14 febbraio 2012

I consigli di Warren Buffett: "Non investite nei bond"

Warren Buffet, presidente di Berkshire Hathaway
New York - Stare alla larga dai bond. Nella prima bozza della sua lettera annuale agli azionisti, Warren Buffet, presidente di Berkshire Hathaway, non ha dubbi sul fatto che, in una fase economica come quella attuale, caratterizzata dal mix interessi bassi e inflazione, il peggiore investimento da fare sia quello obbligazionario.

"I bond sono tra gli asset più pericolosi", ha scritto Buffett, secondo le prime anticipazioni riportate dalla rivista Fortune. "Nel secolo scorso, questi strumenti hanno distrutto il potere d'acquisto di molti investitori, anche se titolari hanno continuato a ricevere puntualmete il pagamento degli interessi." L’oracolo di Omaha sembra dunque pienamente d’accordo con Laurence D. Fink, amministratore delegato di BlackRock, secondo cui gli investitori dovrebbero avere il 100% del loro portafoglio in azioni perché i prezzi sono ancora convenienti e le prospettive di rendimento dell'equity sono più alte di quelle delle obbligazioni, anche in vista di un mantenimento dei tassi a zero da parte della Fed.

"In presenza di alti tassi di interesse, gli investitori sono protetti dal rischio di inflazione. E’ in pratica quanto è successo nei primi anni Ottanta", ha scritto Buffett. Un discorso che non vale oggi.

Riguardo gli "asset non produttivi", oro in primis, gli investitori non sono interessati nella risorsa in quanto tale, per quello che riesce a produrre, quanto nella speranza che altri in futuro la desidereranno a un valore maggiore. Sebbene il rialzo del prezzo possa portare anche i più scettici ad andare tori, "tutte le bolle che sono state gonfiate a sufficienza alla fine scoppiano".

Se tutto l’oro del mondo fosse fuso in un unico grande cubo, avrebbe un lato di circa 68 piedi e, ai prezzi attuali ($1.750 l’oncia), varrebbe $9,6 trilioni. Con tutti questi soldi "potremo comprare tutte le terre coltivate degli Stati Uniti (400 milioni di acri con una produzione annua di circa $200 miliardi) e in più 16 volte Exxon Mobils (la società al mondo con i profitti più alti, oltre $40 miliardi l’anno)". In aggiunta, rimarrebbero in tasca circa $1 trilione.

La differenza è che tra cent’anni questi due avrebbero prodotto qualcosa di concreto, mentre "le 170.000 tonnellate d’oro saranno rimaste uguali e ancora incapaci di produrre qualcosa".


mercoledì 22 aprile 2009

I paradisi fiscali sono finiti ?

La riunione del G20 del 2 aprile 2009 ha dato un altro giro di chiave con la pubblicazione di una lista nera e di una grigia dei paradisi fiscali, anche se quella ufficiale dovrà essere stilata e pubblicata in breve dall’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE).
In pratica, però pare che questa lista interessi solamente il sistema bancario, infatti, non sapendo bene a chi dare la colpa della crisi finanziaria mondiale, è stata dichiarata guerra al “segreto bancario”.
I paradisi fiscali sono da sempre una croce ed una delizia dell’economia mondiale; secondo alcuni sono il lato oscuro della finanza internazionale, ma una necessità del sistema economico. Sono infatti utilizzati oltre che da migliaia di contribuenti, principalmente, dalle grandi imprese, spesso anche quelle a partecipazione statale o controllate dagli stati. Nell’Unione Europea si stima che la frode fiscale tocca una media del 2.5 % del Pil. In fondo fino a oggi, i paradisi fiscali sono stati dei pilastri essenziali della globalizzazione economica, con un’incidenza considerevole nel sistema finanziario. Tenendo conto del ruolo fondamentale di questi paesi nel meccanismo della globalizzazione, l’eliminazione provocherebbe delle grandi disfunzioni economiche e finanziarie.
Forse anche quest’ultima crociata iniziata dal G20 non è altro che uno strumento per dissuadere i “piccoli”, ossia quei contribuenti che grazie all’internet e al calo dei prezzi dei servizi offshore, hanno avuto recentemente accesso a questo mondo che fino allo scorso decennio era prerogativa dei grandi capitali. In tempi di crisi però bisogna andare con i piedi di piombo e una eventuale soppressione dei paradisi fiscali rischierebbe di provocare un collasso finanziario internazionale. In epoca di recessione, quale Stato se lo può permettere?
E’ noto infatti che vi sono in questi paradisi decine di società controllate o partecipate da Eni e Enel nel Delaware, alle Bahamas, alle Isole Cayman, in Lussemburgo e in molti altri paesi. Senza poi parlare delle regioni o aree a statuto speciale che in molti paesi dei G20 godono di defiscalizzazione. I capitali cercheranno sempre le piazze più redditizie e i sistemi tributari più favorevoli. Questa è la logica del capitalismo e la globalizzazione la favorisce.

Questa battaglia contro i paradisi fiscali è appena iniziata e probabilmente otterrà uno dei risultati voluti: l’aumento dei costi dei servizi offshore e la riduzione all’accessibilità degli stessi. In pratica chi paga è sempre il piccolo.